CONCORSO “CALL TO ACTION PER LA SOSTENIBILITÀ 2022”
Evento di premiazione il 27 Maggio 2022 dalle 10:00 

CITTADINANZA CONSAPEVOLE

Dopo un’estate piena di successi sportivi, ripercorrere, in questi primi giorni di scuola, alcune delle emozioni che abbiamo vissuto può aiutarci a far luce sul cammino che ci aspetta. Non solo: vedremo che lo sport può essere un’ottima metafora per la vita scolastica.

Ogni volta che, al mio ingresso in quinta, prospetto l’imminente esame di stato, so di scatenare il panico. Eppure, ogni volta che parlo dell’esame, lo faccio per fissare l’obiettivo, per ricordare, a me e a loro, qual è il punto di arrivo e, per certi aspetti, per dare un senso al cammino. Soprattutto se stiamo parlando, come nel mio caso, della prova di matematica al liceo scientifico.

Forse sarebbe bene cambiare la prospettiva: dovremmo pensare a Gianmarco Tamberi, vincitore della medaglia d’oro nel salto in alto a Tokyo, che, sul gesso con il quale l’avevano fasciato dopo l’infortunio che gli era costato le Olimpiadi di Rio, aveva riportato la frase “Road to Tokyo 2020” (poi corretto in 2021) proprio nel momento in cui aveva deciso di ricominciare a lottare. E quello stesso gesso l’ha accompagnato a Tokyo, come ricordo di ciò che aveva vissuto, delle fatiche, fisiche e mentali, che aveva dovuto affrontare, per raggiungere l’ambito traguardo, «simbolo della mia forza d’animo, della mia volontà di provarci e riprovarci nonostante le avversità».

Che dire poi di Bebe Vio? Ha parlato dei suoi 119 giorni, quelli che ha dedicato alla preparazione per le Paralimpiadi, «119 giorni per raggiungere l’impossibile» (come titola la Repubblica): anche lei, durante la gara, aveva con sé il braccialetto dell’ospedale con scritto «– 119» e solo a gara conclusa abbiamo saputo del terribile verdetto di aprile e dei rischi corsi a causa di un’infezione.

In prossimità di un esame, sentiamo il panico paralizzarci il respiro, ma, come scrive Bebe Vio nel suo libro «Se sembra impossibile allora si può fare», scritto all’indomani delle Paralimpiadi di Rio, «Il trucco è trasformare la paura in adrenalina, l’adrenalina in cattiveria agonistica e la cattiveria agonistica in felicità». Nel libro, Bebe descrive la sua strada per le Paralimpiadi del 2016, quando ha affrontato prima l’esame di maturità e poi la gara che l’ha vista vincente. Tutti le dicevano che si trattava di un’impresa impossibile, ma è proprio quando l’obiettivo sembra, a detta di tutti, irraggiungibile che l’atleta riesce a tirare fuori la grinta che la contraddistingue: «Fatti dire che è impossibile e dimostra a tutti che puoi farcela».

È vero che a volte la forza di volontà non basta e la sfortuna è più forte: pensiamo a Derek Redmond, che alle Olimpiadi di Seoul del 1988 era stato obbligato a ritirarsi a causa di un infortunio, dieci minuti prima della gara. Quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Barcellona, la sua voglia di vincere è al massimo livello: qualificatosi alle semifinali dei 400 m piani con il tempo migliore, sta affrontando al meglio la gara, ma dopo 250 m lo strappo del bicipite femorale destro lo obbliga a fermarsi, segnando la fine del suo sogno olimpico. Si rimette in piedi, perché vuole tagliare il traguardo: procede con determinazione, nonostante il dolore e, nella sua gara personale, lo raggiunge il padre, Jim, che lo sostiene fino alla fine, che accoglie le sue lacrime e cerca di consolarlo.

Quando taglia il traguardo, Derek viene accolto dalla standing ovation dei 65 mila spettatori presenti. Il filmato della gara è disponibile sul canale YouTube ufficiale delle Olimpiadi e, nel commento, si parla di «vero coraggio contro le avversità»: «Pochi ricordano che lo statunitense Steve Lewis ha vinto la semifinale in un tempo di 44.50. Ma nessuno, tra quelli che hanno visto la gara, può dimenticare il coraggio di Derek Redmond nel giorno che ha definito l’essenza dello spirito umano e olimpico».

Nel suo cammino verso il traguardo, Derek è stato sostenuto dal padre Jim, la sua squadra. Ripensare alle olimpiadi non può che riportarci alla mente la squadra italiana che ha vinto la medaglia d’oro nella staffetta maschile 4×100 m: Patta, Jacobs, Desalu e Tortu. Domenico Licchelli, astrofisico che si occupa di didattica e comunicazione scientifica, ha evidenziato, in un post su Facebook, gli aspetti matematici e fisici che si nascondono dietro la vittoria della staffetta: i corridori devono avere, innanzi tutto, caratteristiche diverse, visto che «Il primo frazionista deve essere un buon partente ed un buon corridore in curva. Il secondo frazionista deve essere potente nella corsa lanciata e resistente a lungo ad alta velocità. Il terzo deve esprimere una potenza muscolare tale che gli consenta di sopportare le maggiori spinte in curva opponendosi alla gravità terrestre ed alla forza centrifuga. […] Il quarto dovrà eccellere nella corsa lanciata e saper gestire le forze per portare a termine l’impresa, mantenendo il vantaggio o recuperando terreno». E tutto questo ancora non basta per vincere, perché conta anche l’«indice di cambio», ovvero la capacità di scambiarsi il testimone nel più breve tempo possibile e, per rendere l’operazione il più fluida e veloce possibile, è necessario provare e riprovare.

Non possiamo riassumere il tutto dicendo semplicemente che l’unione fa la forza, perché è necessario ricordare anche l’esercizio che migliora le prestazioni. Nella vita scolastica, entrambi gli aspetti sono importanti, innanzi tutto perché i ragazzi si trovano inseriti in due squadre, la squadra formata dalla classe – perché a scuola non si impara come singoli ma come gruppo – e la squadra formata con i propri docenti, preparatori atletici consapevoli di ciò che è necessario fare per affrontare al meglio il percorso, e in secondo luogo perché è necessario un continuo esercizio per migliorare le proprie prestazioni (e non solo in matematica).

Il percorso scolastico è ricco di traguardi raggiunti, ma non mancano le cadute e gli errori: ciò che conta è usare questi errori per migliorarsi, per crescere, come ricorda Paola Egonu, della nazionale italiana di pallavolo, all’indomani della vittoria in finale agli Europei contro la Serbia: «Siamo state la dimostrazione che dalle sconfitte si può crescere, rinascere e tornare più forti».

Dopo grinta, determinazione e buona volontà, manca ancora un ingrediente in questo glorioso percorso: la motivazione. E di motivazione la giovanissima Quan Hongchan ne aveva davvero tantissima, perché voleva la vittoria per poter pagare le cure per la madre malata. Quan ha vinto la medaglia d’oro nella gara dei tuffi dal trampolino di 10 m: poco più che quattordicenne, ha ottenuto la vittoria con un punteggio di 466.20, staccando la connazionale di 40 punti e la medaglia di bronzo australiana di quasi 100 punti. Tutto questo, grazie a tre tuffi da record, nei quali ha ottenuto 10 da tutti i giudici. Una vittoria davvero incredibile. I 10 della Hongchan richiamano alla memoria altri gloriosi 10, ma non solo e approdiamo alle olimpiadi di Monaco del 1972, all’esercizio alle parallele asimmetriche: Olga Korbut, appena diciassettenne, realizza un salto mortale incredibile, che da lei prenderà il nome (Korbut flip), che consisteva nel salire in piedi sulla barra più alta e nel lasciarsi andare all’indietro per riprendere poi la barra.

Il salto venne realizzato di nuovo dalla stessa Korbut alle olimpiadi del 1976, ma alla fine venne vietato nelle competizioni successive, perché ritenuto troppo pericoloso. Eppure, nonostante questo salto, Olga Korbut non solo non vinse mai la medaglia d’oro nelle parallele asimmetriche, ma le venne negato anche il 10: all’uscita dalle parallele ottenne un 9.8, che venne molto criticato dalle persone presenti al palazzetto con fischi, battute di piedi, urli. Il Guardian, nel 2012, parlando dei momenti più importanti e iconici delle Olimpiadi, cita proprio questo evento: «La prestazione rivoluzionaria della Korbut trasformò l’immagine della ginnastica artistica nel mondo. Questo sport diventò improvvisamente uno dei primi motivi d’interesse di un’Olimpiade, oltre che lo sport preferito dalle bambine di ogni parte del mondo. Korbut ruppe le barriere dello sport facendo qualcosa di inimmaginabile.»

Il percorso scolastico, come lo sport, ci insegna che non sempre è possibile raggiungere i propri obiettivi e magari quel 10, che sentivamo di meritare, ci viene negato, ma non è che sia necessariamente una cosa negativa. Ciò che conta è imparare qualcosa, ciò che conta è che «chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi piuttosto che alle soluzioni». La verità è che «è nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie». Sono parole di Albert Einstein, scritte nel 1931 in «Come io vedo il mondo» e lui era un esperto di errori e di crisi: richiama il lavoro duro, sottolinea come la crisi ci permetta di progredire, la definisce «la più grande benedizione per le persone e le nazioni» e non mi resta che concludere con le sue parole: «Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.»

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