CONCORSO “CALL TO ACTION PER LA SOSTENIBILITÀ 2022”
Evento di premiazione il 27 Maggio 2022 dalle 10:00 

TECNOLOGIA, UMANESIMO E CULTURA

COME SENTE UN ROBOT? UNA FILOSOFIA DEI SENSORI

Il robot per essere tale deve reagire ai cambiamenti ambientali in tempo reale – in breve deve avere sensori. Un sensore capta una grandezza fisica e la trasforma in un output visibile e misurabile, tipicamente un segnale di tipo elettrico.

Spesso pensiamo ai robot come macchine automatiche (o semi automatiche) programmabili dotate di forma umanoide e quindi anche di sensi umani. Tuttavia la domanda è se una macchina vede come vediamo noi? Un sensore è la telecamera che riproduce la scena in una serie di bit, numeri, uno per ogni pixel. Quindi il robot ottiene solo numeri delle scene intorno. Tuttavia perché quei numeri diventino informazioni è necessario insegnare al robot come ritagliare le figure dagli sfondi, ad esempio, o riconoscere la permanenza degli oggetti, i bordi e i colori al di là delle visibilità limitate, ma non è affatto intuitivo programmarlo. Come si comprende c’è una grande inaccuratezza in questi sensori. Si possono introdurre filtri capaci di ridurre il rumore, l’errore, l’inaccuratezza. Noi siamo bravi a fare questo, ci siamo evoluti a distinguere oggetti, ad avere un concetto di permanenza. Grazie alla fondamentale idea di ente abbiamo potuto costruire le successive teorie filosofiche. Ma un robot ha difficoltà a riconoscere un ostacolo e a distinguere di che ostacolo si tratti. A tal riguardo la distinzione di oggetti e la riduzione dell’errore nel riconoscimento si avvalgono di sistemi di IA capaci di formulare aspettative e, in base a ciò che i sensori captano, confrontano i dati con le aspettative, continuando parallelamente a migliorare le inferenze probabilistiche della rete. Questo sistema facilita il riconoscimento anche in contesti difficili, ma uno non esclude l’errore, due innesca problemi di sorveglianza, privacy e, certamente, il consumo elettrico.

In realtà sono molti i sensori che possono tornarci utili, e normalmente dobbiamo riferirci a sensori che si discostano dal modo di sentire umano. Insomma, la robotica sembra, prima facie, soffrire di antropocentrismo. Laser, sensori temperatura, ultrasuoni, sensori ottici che misurano quanto i pixel si muovono veloci senza che ci sia necessità di ritagliare la figura-sfondo e di riconoscerla. Il punto è che abbiamo creato un mondo di dati, di misurazioni, per renderci conto che l’oggetto esiste, che persiste, che le grandezze che percepiamo anche una macchina sa tradurle in una documentazione che ci tolga ogni dubbio. Qualunque cosa esca fuori dalla misura automaticamente diventa invisibile anche per noi, anche se ne abbiamo un sentore. In realtà la robotica ci insegna che, sì, qualcosa c’è, ma non c’è nella misura in cui noi umani possiamo dire “c’è”. Le macchine non sentono come noi sentiamo, non è un giudizio di valore, questo, è solo attestazione di un fatto. Noi vediamo in modo carico sempre di teoria, non possiamo fare a meno dei nostri pregiudizi, del modo in cui l’evoluzione ci ha predisposti alle cose ed è inutile cercare di creare sensori per farci uscire dal dubbio. In realtà il dubbio è rinforzato ulteriormente: solo noi vediamo nomi, informazioni, oggetti, soggetti; una macchina percepisce dati che diventano informazioni solo quando noi li vediamo, perché solo noi vediamo in questa maniera, secondo queste categorie.

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