Quale modo migliore per riflettere su noi stessi, cittadini italiani, e sulle origini della nostra democrazia repubblicana, che parlare della Costituzione?
Così ho pensato, poco per volta, di esporre, in maniera sintetica, e spero chiara, quelli che sono i suoi principi fondamentali (articoli 1-12).
Ritengo che essi possano essere considerati il nostro “Vangelo Laico”!
La Costituzione Italiana è stata approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore l’1 gennaio 1948.
I dodici articoli contenuti nei “Principi fondamentali” definiscono le caratteristiche di fondo dell’ordinamento costituzionale italiano: forma repubblicana, sistema democratico, riconoscimento dei diritti umani, affermazione del principio di uguaglianza, centralità del lavoro, principio di autonomia alla base dell’assetto regionale dello Stato, libertà di religione ma non confessionalità dello Stato, collegamento con la Comunità internazionale per la promozione della pace al costo della cessione di sovranità.
Si tratta di principi e valori fondativi del sistema giuridico dettato dalla Costituzione e, dato importante, ESSI NON POSSONO ESSERE OGGETTO DI UNA PROCEDURA DI REVISIONE COSTITUZIONALE CHE LI ELIMINI.
ART. 1
L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
Questo articolo consacra il risultato del referendum istituzionale svoltosi nel 1946, che ha decretato il passaggio dal regime monarchico al sistema repubblicano.
Tale scelta di fondo è immodificabile.
Infatti l’art.139 della Costituzione stabilisce che ” la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
La differenza principale tra monarchia e repubblica consiste nel fatto che in quest’ultima la carica di Capo dello Stato ha carattere elettivo e temporaneo, mentre nella monarchia il Re eredita il trono per appartenenza dinastica, lo conserva per tutta la vita e lo trasmette
all’erede designato.
La forma repubblicana è strettamente correlata al carattere democratico della stessa.
Affermare che la sovranità appartiene al popolo vuol dire che esistono determinate procedure che consentono la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche di governo del Paese.
La sovranità si esercita attraverso la democrazia rappresentativa, in base alla quale il popolo designa i soggetti cui affidare la direzione politica.
Tale sovranità va esercitata ” nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Vuol dire che esiste un sistema di norme, cogente sia per i governanti che per i governati, allo scopo di porre un argine ad un eventuale strapotere delle forze di maggioranza.
La sottoposizione, sia dei cittadini che dei pubblici poteri, al rispetto della Costituzione qualifica il nostro ordinamento come Stato di diritto.
Espressione che indica, appunto, la soggezione al diritto di tutti i poteri.
Dopo avere sancito il carattere democratico, l’art.1 aggiunge che la Repubblica è “fondata sul lavoro”.
Ciò vuol dire che il lavoro rappresenta uno dei valori fondanti l’ordinamento giuridico.
In tal modo si anticipano le altre numerose norme costituzionali ad esso dedicate ( artt.4, 35, 36, 37, 38, 39, 40 ).
Quindi già nel primo articolo troviamo le parole-chiave:
– Repubblica
– Democrazia
– Sovranità
– Popolo
– Nelle forme e nei limiti della Costituzione.
ART. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,
e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Nell’art.1 è stato proclamato il principio democratico, adesso si proclamano i diritti dell’uomo, di quei diritti che costituiscono patrimonio IRRINUNCIABILE della persona umana.
Questo articolo, infatti, colloca la persona umana al vertice dei valori che informano il sistema costituzionale, e qualifica il complesso dei diritti ad essa connaturali: diritto alla vita, diritto alla salute, diritto alla libera manifestazione del pensiero, diritto alla libertà fisica, diritto alla riservatezza, ed altri ancora e come inviolabile, cioè assolutamente incomprimibile da parte dei pubblici poteri.
Il riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo va inteso come fattispecie “aperta”, nel senso che permette di attribuire tutela costituzionale ad altri valori connaturali alle prerogative essenziali della persona e non espressamente ricompresi in norme costituzionali.
Ciò in quanto tali valori sono avvertiti e fatti propri dalla coscienza sociale in un momento successivo alla scrittura della Carta costituzionale.
Si pensi, per esempio, al diritto alla libertà di informazione, alla libertà sessuale, al diritto ambientale, che non sono stati espressamente menzionati dalla Costituzione.
I diritti dell’uomo non sono riconosciuti e garantiti solo alla persona nella sua dimensione individuale, ma anche nella sfera sociale e relazionale in cui si sviluppa la personalità di ogni individuo.
Si pensi ai diritti collegati alla famiglia ( art.29 e ss. ), al diritto di riunirsi liberamente in associazioni ( art.18 ), a professare la propria fede religiosa ( art.19 ), a costituire sindacati ( art.39 ) e partiti politici ( art.49 ).
Il riconoscimento e la protezione dei diritti umani ha comportato, in ambito internazionale, il sorgere di numerosi trattati ratificati dall’Italia e, pertanto, vincolanti per il nostro ordinamento.
In particolare la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” ( CEDU ), adottata nel 1950 e ratificata dall’Italia nel 1955; nonchè la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, adottata a Nizza nel 2000, e alla quale, nel 2009, è stato attribuito un valore giuridico equiparato a quello dei trattati europei.
In definitiva può dirsi che a livello internazionale sono stati adottati numerosi strumenti di protezione dei diritti fondamentali della persona umana.
Ciò determina una tutela multilivello degli stessi, che si articola su tre piani:
internazionale, europeo, nazionale.
Occorre sottolineare che i diritti inviolabili dell’uomo sono riconosciuti indistintamente a TUTTE le persone umane, e quindi anche agli stranieri e agli apolidi.
Questo punto si approfondirà quando sarà trattato l’art.10.
ART. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
È un articolo talmente denso di significato che ogni parola meriterebbe una riflessione e un commento. Invito a provarci.
In questa sede mi limito ad un esame sintetico.
Il principio di eguaglianza contenuto nella prima parte può essere definito di carattere formale.
Esso si rivolge in primo luogo agli organi dello Stato ai quali è affidato il potere legislativo, cioè il Parlamento nazionale e i Consigli regionali.
Essi non possono approvare leggi che compiano discriminazioni tra soggetti meritevoli dello stesso trattamento, o assimilazione tra persone che, trovandosi in situazioni differenti, sarebbe giusto sottoporre a discipline differenziate.
Per esempio, specifiche normative in favore di chi è diversamente abile.
La seconda parte dell’art.3 enuncia un principio di eguaglianza sostanziale, e stabilisce il concreto impegno dei pubblici poteri a contrastare le disparità di condizioni che vi sono sul piano materiale tra gli individui o le categorie di individui.
Ciò al fine di creare effettive condizioni di eguaglianza tra i cittadini, a prescindere dalla loro condizione economica o sociale di partenza.
Tale eguaglianza, che si definisce appunto sostanziale, costituisce il presupposto di successive norme costituzionali dirette ad attribuire una tutela privilegiata ai soggetti e alle categorie ritenute economicamente o socialmente deboli, in modo da garantire loro le medesime opportunità di godere dei diritti riconosciuti dalla Costituzione.
Si pensi alle disposizioni che tutelano i lavoratori subordinati ( artt.36 e 40 ) e salvaguardano la donna lavoratrice e il lavoro minorile ( art.37 ); a quelle che assicurano l’assistenza sanitaria nei riguardi dei soggetti indigenti ( art.32 prima parte ) e il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi ai capaci e meritevoli privi di mezzi ( art.33, terza parte); infine, a quelle che garantiscono il diritto di difesa ai soggetti non abbienti ( art.24, seconda parte ), e il diritto al mantenimento a beneficio dei soggetti inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere ( art.38, prima parte ).
Va sottolineato che il riconoscimento della pari dignità sociale comporta che la dignità della persona è riconosciuta a prescindere completamente da considerazioni relative al titolo rivestito, alla classe sociale di appartenenza e all’occupazione o professione esercitata.
ART. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società“.
Il riconoscimento del diritto al lavoro non costituisce una pretesa azionabile davanti ad un giudice per ottenere un’occupazione.
Vale a dire che non crea un diritto soggettivo al posto di lavoro.
Tale disposizione, come tutte le disposizioni costituzionali, ha natura “precettiva”, ma in tale caso ha un valore “promozionale”, vale a dire che implica interventi idonei, sia del Parlamento che del Governo, affinché si creino le condizioni della piena o della maggiore occupazione.
L’art.4 configura inoltre, in capo al singolo individuo, il diritto ad esercitare un lavoro liberamente deciso in conformità alle proprie attitudini, riconoscendo a ciascuno la possibilità di svolgere un’attività lavorativa corrispondente alla propria scelta ed alle capacità professionali acquisite.
Per la Costituzione il lavoro, inoltre, costituisce un dovere di ciascun cittadino, al quale si chiede di fare qualcosa di utile.
Tale previsione non è coercibile e rappresenta solo un dovere morale.
Anche se, è ovvio, occorrono le condizioni normative ed economiche affinché tale dovere possa essere adempiuto.