Louis Oreiller con Irene Borgna
Irene Borgna è una giovane antropologa alpina, nata sul mare, a Savona (ma quel giorno nevicava sul bagnasciuga) che ha abbandonato la pianura per le Alpi Marittime dove vive e lavora. Ama e conosce la montagna nei suoi aspetti più affascinanti e nella sua vita più segreta, e sa trasmettere, da guida naturalista e da scrittrice, questo amore e questa conoscenza.
Il pastore di stambecchi nasce dall’incontro di Irene con Louis Oreiller, un montanaro valdostano ultraottantenne. È la Borgna stessa a definirne le modalità: “Raccogliere le storie è un’avventura appassionante: rara, delicata e un po’ matta. Da antropologa sul campo (…) ho imparato che bisogna meritare con un numero considerevole e poco salutare di caffè bevuti insieme la fiducia di chi ci affida un ricordo, un’impressione, un’esperienza. Occorre saper leggere tra le righe di quel che viene detto, insistere discretamente lungo i confini dell’esplicito per individuare il taciuto e le sacrosante ragioni del silenzio – per scegliere infine con cura le parole da non scrivere. Quando l’oggetto del narrare è una vita in corso – e una vita straordinaria – il timore teorico è di farle violenza forzandone il senso, quello pratico è di finire rincorsi da un Louis contrariato e armato di accetta. L’unico antidoto a entrambi i rischi è assuefarsi alla caffeina, accumulare pomeriggi e chiacchiere in ogni stagione, ritornare ancora e ancora fino al giorno in cui non si dimentica a casa il registratore e il taccuino perché quando si va in visita da un amico mica prendi appunti – ascolti le sue storie e condividi le tue”.

Ed ecco dipanarsi nelle parole di Louis, raccolte da Irene, il racconto di una vita “fuori traccia”, come dice il sottotitolo, una vita tutta trascorsa in un minuscolo paesino della Val di Rhêmes, da cui il protagonista si è mosso solo per il servizio militare, ma piena di avventure, di storie, di incontri con uomini e bestie. Bracconiere per bisogno (faine catturate per la pelle, camosci per avere in cambio farina) poi manovale a costruire la strada che porta alla sua valle, stradino, guardapesca, e infine guardaparco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso e guardacaccia nella riserva dei Rossi di Montelera, da un versante della valle a quello di fronte, il più duro ed esposto da cui precipitano d’inverno le valanghe.
Come guardaparco e guardacaccia per più di trent’anni percorre valloni, sfasciumi, cenge e ghiacciai, ascolta la voce dei torrenti, coglie i segni del tempo, osserva la vita di piante e animali, felice del suo lavoro: ”che poi, insomma, chiamiamolo lavoro: alzarmi presto l’ho sempre fatto, camminare non mi è mai pesato, la montagna è casa mia, la solitudine un’opportunità, il pericolo un’occasione per utilizzare al meglio la forza e la testa”.
Nel microcosmo della val di Rhêmes, nei ricordi di uno che interloquiva con la montagna, che si muoveva con cautela, amore e rispetto, si coglie il senso di un rapporto che non è di sfida ma di relazione profonda, e di conoscenza autentica. La montagna del “pastore di stambecchi” non è idilliaca e addomesticata, come in certe idealizzazioni cittadine, ma neppure la nemica da conquistare di certe esaltazioni pseudo eroiche. Può essere molto severa e molto accogliente, affascinante sempre se ci si sa muovere secondo le parole di Louis: ”ho passato anche giornate in quota senza nessuno, e senza mai essere solo. Parlavo con la montagna e lei mi rispondeva, mi faceva capire. Sentiva che le volevo bene e che mi muovevo come un ospite”.