Mezzo millennio fa, nella Roma del Rinascimento, Raffaello e l’amico letterato Baldassar Castiglione scrivono insieme una lettera a papa Leone X de’ Medici, il raffinato e colto figlio di Lorenzo il Magnifico. La lettera è uno storico documento sulla necessità di tutelare e proteggere l’arte, definita “antica madre della gloria e della grandezza italiana”. È necessario ricordare che a quel tempo (siamo intorno al 1519), l’”Italia” era un concetto astratto. Politicamente, il territorio era frammentato e conteso, con una sempre più marcata e drammatica conquista straniera. Soprattutto nella Lombardia devastata da eserciti in marcia e insanguinata da frequenti battaglie, la gente comune era talmente impoverita da coniare il motto, apparentemente cinico ma nella sostanza tragico “o Franza o Spagna purché se magna”.
In questo scenario, Raffaello e Baldassar Castiglione colgono con grande lucidità aspetti che mantengono tuttora un carattere di assoluta attualità. L’arte, il senso diffuso della bellezza è il vero fattore unificante dell’Italia, al di sopra delle divisioni territoriali; e la cultura è il principale antidoto contro la violenza – come dalla calamità della guerra nasce la distruzione e ruina di tutte le discipline ed arti, così dalla pace e concordia nasce la felicità a’ popoli – scrivono testualmente i due autori.
Nell’attuale assetto dei programmi liceali, la storia dell’arte è una piccola materia, teorica e lontana, che non ha niente a che vedere con il senso di appartenenza e di identità, perfino di gratitudine, che invece, in tutta Italia, dovremmo sentire. Se si prova a sfogliare i manuali scolastici, ci si accorge che molte regioni non sono mai nemmeno citate. L’effetto più grave è la distanza, lo scollamento che si crea tra il territorio e quello che si studia sui libri o che si va a cercare nei viaggi d’istruzione. Approfittando delle cosiddette “estensioni multimediali”, obbligatorie ma in realtà ben poco attuate, sarebbe utile affiancare alla “storia” anche una “geografia” dell’arte, e offrire esperienze sul campo, spesso poco oltre la soglia di casa, per rendersi conto della fortunata particolarità dell’Italia: una presenza fitta, continua, impareggiabile del patrimonio artistico diffuso, un dialogo continuo tra città e campagna, tra opera dell’uomo e spazi naturali, in situazioni ambientali e sociali di affascinante varietà, dalle Alpi alle coste mediterranee, con caratteristiche peculiari di zona in zona. Per questo, l’Italia è stata efficacemente definita dal grande storico dell’arte francese André Chastel, non senza una punta di invidia, «un museo diffuso».
In Italia si trova un numero di siti storico-ambientali considerati dall’Unesco «Patrimonio dell’Umanità» maggiore rispetto a ogni altra nazione del mondo. Purtroppo circa il 44% del territorio nazionale italiano è a un grado significativo di rischio sismico. I terremoti, le eruzioni vulcaniche, le inondazioni, gli smottamenti sono purtroppo frequenti, e i danni colpiscono ovviamente anche il patrimonio architettonico e ambientale. Non si può comunque nascondere che gli effetti devastanti dei fenomeni naturali potrebbero essere limitati da una politica più attenta alla salvaguardia e alla prevenzione. Ma ben più gravi sono stati, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, i danni provocati all’ambiente storico-territoriale da costruzioni civili e industriali di bassa qualità e di greve impatto sulla natura. La nascita di associazioni come Italia Nostra e il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) si lega appunto alla necessità civile di creare un argine agli interventi che compromettono la “qualità” del paesaggio e delle realtà urbane.
E’ diventato un luogo comune: in Italia abbiamo riconosciute capacità di «conservazione» delle opere d’arte, grazie a una plurisecolare pratica del restauro e alla ottima competenza sulle tecniche e gli stili; d’altra parte, non abbiamo altrettanta consuetudine con la «tutela», vale a dire la salvaguardia e la prevenzione, con interventi costanti e programmati di manutenzione. Ancora meno sappiamo curare la «valorizzazione» del patrimonio artistico, storico e ambientale: non solo dal punto di vista della sua conoscenza e promozione, ma anche per le ricadute economiche.
Forse una lacuna di base consiste nella tuttora poco diffusa consapevolezza del «valore» delle opere d’arte e dell’ambiente, non tanto in termini monetari, quanto per la nostra identità sociale. Nei mesi strani e drammatici che stiamo vivendo, segnati dalla pandemia, è emerso un dato: il valore globale del “turismo culturale” è stato stimato in un 12% del PIL nazionale; e l’arretramento del PIL, in seguito alla crisi innescata dal Covid, si colloca proprio intorno alla stessa percentuale. Si è insomma completamente ribaltata una vecchia frase, troppo citata: oggi possiamo osservare che in Italia SENZA la cultura non si mangia!
Il patrimonio culturale in passato è stato troppo spesso considerato un onere, un «costo da mantenere» da parte delle istituzioni, e non una risorsa economica: eloquente è anche la creazione molto tardiva di un apposito ministero. Il patrimonio, che letteralmente significa “l’eredità che ci è stata consegnata dai nostri padri”, deve essere oggi riproposto in una forma e in un significato nuovi. Il vecchio e maldestro slogan dei valori storici e ambientali come «giacimento culturale», o «petrolio dell’Italia», merita di essere ripensato. Come il petrolio, anche il patrimonio culturale per essere messo a disposizione e costituire una risorsa economica necessita di investimenti, di infrastrutture e di servizi. Con questo presupposto, e molti esempi virtuosi lo confermano, la cultura può davvero diventare un volano economico molto importante. Ma è importante ritornare alle parole di Raffaello e Baldassar Castiglione, e ribadire il valore etico e sociale dell’arte. Non possiamo certo illuderci che tutti gli italiani godano quotidianamente dei panorami della Val d’Orcia o delle Dolomiti, la violenza, figlia del degrado ambientale, è, al contrario, un’esperienza purtroppo quasi quotidiana. Offrire a tutti l’accesso alla bellezza è un compito morale e sociale; un primo passo può essere un maggiore impegno per comprendere che la straordinaria eredità del passato, combinata con l’ambiente naturale, costituisce la nostra più grande ricchezza. In una parola, la più preziosa identità che gli italiani possiedono e possono offrire.