La cittadinanza digitale è un bene immateriale che si distingue dalla cittadinanza tradizionale, di regola acquisita per nascita, quindi senza particolare sforzo o impegno da parte del beneficiario. Per diventare cittadini digitali, invece, occorrono studio ed esercizio continuativi, l’uno e l’altro indispensabili per imparare a utilizzare in modo appropriato, corretto e utile la tecnologia. Se non c’è alfabetizzazione digitale, non può esserci neppure cittadinanza digitale: la prima è condizione imprescindibile della seconda.
Occorre sgombrare il campo dagli equivoci: i cittadini digitali non si identificano necessariamente coi “nativi digitali”, e cioè quanti sono nati nell’era digitale, vale a dire o nel 2001 o dal 2001 in avanti, secondo una classificazione ormai condivisa e nota ai più. Gli “immigrati digitali”, e cioè quanti sono nati prima del 2001, possono, ma non necessariamente, essere membri della comunità digitale. Il discrimine non è segnato dall’anagrafe (la nascita prima o dopo il 2001) o dalla dimestichezza nell’uso di Internet (indubbiamente i ragazzi padroneggiano i presidi informatici meglio degli adulti), ma dalla “consapevolezza” delle norme comportamentali da osservare nel contesto digitale.
L’istituto della cittadinanza digitale è stato elaborato, in ambito sovranazionale, dall’Unione Europea ed è disciplinato, in ambito nazionale, dal Codice dell’Amministrazione Digitale (il CAD è stato introdotto nel nostro sistema normativo dal Decreto Legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, a sua volta integrato da modifiche legislative che si sono via via susseguite nel tempo; le ultime due risalgono al 13 dicembre 2017 e al 16 luglio 2020).
Il CAD si propone, tra gli altri, l’obiettivo di migliorare il rapporto di fiducia e interazione tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione, quest’ultima oggetto di un lento quanto profondo processo di digitalizzazione volto a semplificare e velocizzare gli adempimenti burocratici. L’erogazione dei servizi pubblici in forma digitale costituisce un vantaggio per il cittadino nella misura in cui egli sappia, però, come eleggere il domicilio digitale, aprire la casella di posta elettronica certificata e/o apporre la firma elettronica sui documenti. Sono questi solo alcuni degli esempi più eloquenti.
L’“analfabeta digitale”, giocoforza, è escluso da tutti questi servizi. Il motivo è semplice: non è in grado di attivarli e di usufruirne perché non sa utilizzare né il computer né il tablet e, in genere, le tecnologie digitali. I presidi informatici non sono per lui una risorsa, ma rappresentano un invalicabile ostacolo al servizio pubblico, così come a quello privato. Chi ignora l’alfabeto della tecnologia digitale non sa iscriversi ai concorsi pubblici, autocertificare il trasferimento di residenza, prenotare il biglietto per una visita guidata al museo, scegliere il posto dove sedersi in treno, ricevere dal medico il certificato contenente la prescrizione delle medicine da prendere.
L’esclusione dal sapere tecnologico è rischiosa perché porta con sé la discriminazione e deteriora la qualità della vita delle persone imperite o inabili alla tecnica. Pertanto, l’articolo 5 della Legge n. 92/2019 (rubricato “Educazione alla cittadinanza digitale”) prescrive alla scuola di impartire agli allievi “almeno le seguenti abilità e conoscenze digitali essenziali” – di seguito compendiate in poliedriche “capacità” – da sviluppare con gradualità e da personalizzare in ragione dell’età:
a) capacità di selezionare le fonti delle informazioni;
b) capacità di interagire con gli altri attraverso le tecnologie digitali;
c) capacità di partecipare al dibattito pubblico, accrescere il personale bagaglio di nozioni e prendere parte alla vita pubblica attraverso le tecnologie digitali;
d) capacità di comportarsi in modo appropriato nei vari ambienti digitali, rispettando la diversità culturale e generazionale degli interlocutori;
e) capacità di proteggere se stessi e gli altri da condotte lesive dell’identità personale e della reputazione;
f) capacità di proteggere se stessi e gli altri da condotte lesive della riservatezza;
g) capacità di prevenire o evitare comportamenti disfunzionali che degenerano in cyber- dipendenza e/o cyber – bullismo.
In conclusione, il cittadino digitale è colui che:
◊ ha maturato lo spirito critico necessario per mettere in discussione le fonti delle informazioni acquisite in Rete perché sa distinguere le notizie attendibili da quelle ingannevoli che sono divulgate al solo scopo emulativo e di ingenerare disinformazione negli utenti;
◊ ha imparato a usare con autonomia Internet e sa giovarsi dei servizi offerti dalla Rete perché possiede un bagaglio di nozioni informatiche apprese con lo studio e l’esercizio continuativi;
◊ è in grado di proteggersi dalle insidie della Rete perché sa identificare i trabocchetti tesi da quanti – malintenzionati – intendano procurarsi vantaggi indebiti con danno ingiusto per gli utenti inesperti (danno che può essere “patrimoniale”, e cioè di natura economica, ma anche “non patrimoniale”, e cioè di natura esistenziale in quanto lede i diritti della personalità).