È descritta dalla Costituzione, dalle norme del codice civile e da quelle codificate dalle leggi speciali, quali, per esempio, la Legge sull’adozione n.184/1983. Senza pretesa di completezza, si enunciano i principi fondamentali che i genitori dovrebbero conoscere per esercitare in modo appropriato la responsabilità verso i figli.
L’articolo 30 della Costituzione sancisce che:
◊ è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Gli articoli 147 e 315 bis del codice civile precisano il contenuto della norma costituzionale sopracitata, prescrivendo ai genitori:
◊ l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
L’articolo 2048 del codice civile, primo e terzo comma, stabilisce che:
◊ il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori che abitano insieme a loro;
◊ i genitori sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto illecito materialmente commesso dal figlio minore.
Queste norme richiamano l’attenzione dei genitori sul contenuto della responsabilità che assumono verso i figli dal momento della nascita, non importa se avvenuta “dentro o fuori” dal matrimonio, così come ha specificato la Costituzione. La Legge n.219/2012, in perfetta sintonia col dettato costituzionale, ha abrogato la distinzione tra filiazione legittima e naturale: oggi tutti i figli, nati da genitori coniugati o meno, sono uguali e hanno pari dignità, diritti e doveri.
Il padre e la madre, anche se separati o divorziati, condividono la responsabilità genitoriale sul figlio che si declina nel diritto e dovere di:
* provvedere alle sue esigenze materiali e spirituali;
* permettergli di diventare una persona istruita;
* impartirgli “un’educazione normalmente sufficiente a impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini e alla sua personalità”, così come hanno stabilito i nostri giudici quando sono stati chiamati a decidere se i genitori avessero adempiuto – o meno – nel modo corretto al loro compito educativo.
Il giudice sanziona l’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli quando non è conforme ai dettami dell’ordinamento giuridico.
Quando la condotta del genitore, commissiva od omissiva, è gravemente pregiudizievole per il figlio minore perché integra violazione o trascuratezza dei doveri legati alla funzione genitoriale, ma anche abuso dei relativi poteri, egli rischia misure limitative o preclusive della sua responsabilità genitoriale: il Tribunale per i minorenni – del luogo ove vive abitualmente il minore – è competente a irrogarle.
Il figlio del genitore sospeso o decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale può essere affidato, in via esclusiva, all’altro genitore o, qualora il padre e la madre siano entrambi carenti, a “terzi” estranei al nucleo familiare. Nei casi più critici, il minore può essere adottato: se è vero che ha diritto di vivere e crescere nella “sua” famiglia d’origine (articolo 1 della Legge n. 184/1983), è altrettanto vero che il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e le relazioni affettive sono diritti del minore irrinunciabili perché indispensabili alla sua crescita psico-fisica e alla formazione della sua personalità in erba. Gli istituti dell’affidamento etero-familiare e dell’adozione non hanno valenza punitiva, ma si configurano come misure di sostegno e di aiuto alla famiglia temporaneamente o irreversibilmente in condizione di difficoltà ad adempiere i compiti di cura demandati ai genitori dalla Costituzione e dalla legge.
I genitori sono obbligati a risarcire il danno procurato dai figli minori ai “terzi”: l’obbligazione risarcitoria ha il suo fondamento nel dovere di vigilare sulla prole ed educarla in modo conforme alle aspettative della società; il risarcimento non è dovuto se il padre o la madre riescano a provare di non aver potuto impedire la condotta illecita del figlio. Qualche esempio chiarisce la portata del principio.
Si pensi al caso dei genitori che hanno regalato al figlio minorenne il motorino, raccomandandogli – sì – di guidare con prudenza, ma permettendogli, allo stesso tempo, di circolare privo dell’assicurazione “RC dei veicoli a motore”. La condanna del giudice è stata unanime nei tre gradi di giudizio: il padre e la madre hanno dovuto risarcire il pedone, travolto dal figlio alla guida del motociclo, perché hanno impersonato un modello educativo decisamente distorto. Non è nota, invece, la decisione del giudice investito del caso dei minori che, quest’estate, si sono introdotti nella “Spiaggia delle Rocchette” sul litorale toscano e hanno dissotterrato le uova di tartaruga ivi deposte e recintate proprio per essere protette dai malintenzionati o, semplicemente, dai bagnanti. La condotta illecita del branco ha compromesso la nidiata impedendo a 81 piccole tartarughe di venire alla luce. La “culpa in educando”, ma anche “in vigilando”, dei genitori parrebbe in re ipsa. Il giudice, probabilmente, dedurrà la colpevolezza degli “adulti di riferimento” dei minori dal comportamento di questi ultimi i quali – “se hanno agito così” – non avevano né nel padre né nella madre validi esempi da emulare. E’, probabilmente, il giudice dovrà sentirsi dire dai genitori dei teppisti: “è stata solo una bravata”. Se questo sarà il loro contegno processuale, la condanna sarà inevitabile.