
Nella prima parte del libro la giornalista Luisa Ciuni descrive la concatenazione di fenomeni che hanno portato allo sviluppo di una collettiva coscienza riguardo al tema della sostenibilità nella branca del fashion e dell’industria tessile. Il testo comincia con l’identificazione del fenomeno del fast fashion, dell’abito “Kleenex”, facendolo risalire a circa cinquant’anni fa. Per secoli, infatti, i vestiti venivano considerati un lusso e contribuivano alla forte distanza sociale tra le varie classi. Ora invece, con la nascita dei brand low cost, che fanno uscire spessissimo nuove collezioni e che si “ispirano” a capi di brand di lusso, tutti hanno la possibilità di comprare un quantitativo spropositato di vestiti. Oggi infatti si vende il 400% in più rispetto a vent’anni fa, e mentre in moltissimi altri ambiti i prezzi sono saliti, per quanto riguarda l’abbigliamento sono scesi vorticosamente.
La moda etica e sostenibile nasce come branca della lotta all’inquinamento del pianeta, del quale questa industria è in parte responsabile. La moda oggi inquina aria, suolo, acqua ed è responsabile di svariate malattie professionali, basti pensare alla lavorazione del cuoio in paesi come il Marocco, dove esso viene lavorato con sostanze chimiche e dannose che vengono poi rilasciate nell’acqua, inquinandola e rendendola non potabile. Parlando sempre di acqua, si sa inoltre che il 20% dello spreco globale di acqua è imputabile proprio alla produzione di vestiario.
L’autrice ricorda inoltre che sì, esistono delle leggi che tutelino l’ambiente e i lavoratori, ma queste sono leggi dei paesi occidentali, di Europa e USA, mentre nel mondo orientale queste precauzioni non vengono prese. Moltissimi marchi, sia high hand che non, si rivolgono ad aziende orientali per la produzione in scala dei loro prodotti, dunque tutte le leggi che sono state redatte in Europa proprio per evitare comportamenti di questo tipo, risultano praticamente inutili in quanto quando il prodotto viene lavorato all’estero spesso non vengono seguite tali normative, non solo inquinando l’ambiente, ma anche senza rispettare i diritti minimi dei lavoratori.
Si parla poi di cruelty free, un’istanza morale che riconosce agli animali pari diritti rispetto a quelli dell’uomo. Questo movimento vuole dunque tutelare gli animali che vengono maltrattati durante il processo di creazione degli indumenti: dalle oche che vengono spiumate ancora vive ai bachi da seta che vengono bolliti per raffinare il loro prodotto. Si parla anche del problema delle pellicce e di quanti brand come Armani abbiano deciso di distanziarsi dall’utilizzo di visoni e simili nelle loro collezioni.
Nella seconda parte del libro, la voce della stilista Marina Spadafora presenta la rivoluzione verde della moda, di cui è una fervente sostenitrice e attivista, seguendo insieme ai lettori il “vento nuovo nella moda internazionale” e mettendo in luce i problemi che sia il lusso che il fast fashion incontrano nella loro lunga strada alla ricerca del green. Attraverso la semplice (ma non troppo) domanda “Who made my clothes?”, inizia un viaggio nei più svariati luoghi del mondo che stanno dietro alla produzione di uno dei più semplici capi d’abbigliamento: una maglietta di cotone. Le realtà e gli esempi proposti sono tanto insospettabili quanto lo sono i problemi che hanno afflitto negli ultimi anni il mondo della moda: lavoro minorile e schiavitù moderna, inquinamento e bulimia d’acquisto sono solo alcune delle espressioni che scioccano i lettori fino ad ora inconsapevoli. Ma c’è ancora speranza: questo è il messaggio che traspira attraverso le promettenti alternative e soluzioni positive permesse dalla tecnologia moderna e dalle idee di alcune menti brillanti e consapevoli. Perché è proprio questo ciò a cui le autrici tengono di più: educare l’umanità alla consapevolezza della realtà è il primo, fondamentale passo da compiere verso un futuro green e migliore anche nel campo della moda.
Le Autrici
Luisa Ciuni, giornalista, scrittrice e critica di moda, è laureata in Filosofia della scienza con una particolare attenzione ai temi della sostenibilità e dell’etica. Per molti anni docente di Tecnica del giornalismo di moda, poi caposervizio moda e anche caporedattore della cultura de «Il Giorno», scrive per i supplementi patinati del gruppo Class editore. Ha pubblicato numerosi libri dedicati alla moda e alla sua storia, tra cui La comunicazione della moda con Hélène Blignaut.
Marina Spadafora, stilista e imprenditrice, dopo aver firmato una celebre collezione di Maglieria sperimentale, ha collaborato con Prada, Miu Miu, Ferragamo e Marni. Si è poi dedicata a progetti di moda etica, a iniziative di sviluppo per l’Africa con Franca Sozzani, ed è stata direttore creativo di Altromercato per la linea Auteurs du Monde. Insegna Moda etica (anche all’estero) ed è coordinatrice italiana di Fashion Revolution, un movimento internazionale che si batte per un’industria della moda equa, trasparente, responsabile. Ha ricevuto il premio Women together delle Nazioni Unite a New York nel 2015.