Con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (approvata nel 2015) le Nazioni Unite intendono sollecitare tutte le comunità ed i portatori d’interesse perché promuovano adeguate azioni, sociali, economiche ed ambientali, con il fine di raggiungere gli obiettivi di salvaguardia del pianeta sottoscritti dalla comunità internazionale in occasione delle Convenzioni sull’ambiente.
Questo processo inizia con la Conferenza sull’ambiente di Rio (1991) che propone a tutte le comunità l’elaborazione della Local Agenda 21, prosegue con l’Agenda Millennium (per dare attuazione operativa alla UN Millennium Declaration, 2000), per concludersi (temporaneamente) nel 2015 con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Obiettivo delle Agende è contenere il riscaldamento del pianeta entro 1,5°, contenere la rapida perdita di biodiversità ed il deterioramento dei beni primari acqua ed aria, al fine di garantire adeguati livelli di vivibilità per gli abitanti del pianeta.
Per raggiungere questi obiettivi le Nazioni Unite operano a due livelli: tecnico e di governance.
A livello tecnico propongono un modello di sviluppo basato su:
- diminuzione della pressione ambientale;
- evoluzione dei modi di produrre e di sviluppare gli insediamenti basati su modelli metabolici e biologici, applicando la regola del decoupling, ossia lo sviluppo deve essere accompagnato da una diminuzione del consumo di risorse naturali;
- un particolare sforzo innovativo da parte dei paesi ricchi, i quali dovrebbero svilupparsi a Fattore 10, ossia i paesi del mondo a più alto reddito dovranno inventare un modo per generare la loro ricchezza con circa il 10% (o Fattore 10) dei loro attuali consumi di risorse.
L’applicazione di queste impegnative regole implica nuovi modelli di governance: aperti a tutte le comunità, in grado di operare feedback continui fra tutti i portatori d’interesse e collaborativi, ossia capaci di dilatare l’ecosistema dei soggetti chiamati a raggiungere i diversi obiettivi. In sostanza la proposta delle Agende segna il declino dei modelli di governance lineari e gerarchici a favore di sistemi complessi: aperti, informali ed altamente collaborativi.

L’Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile (1991) organizza gli scopi delle Convenzioni sull’ambiente in 4 sezioni e 40 punti/obiettivo, organizzati in modo olistico e da raggiungersi entro il 2050. I punti qualificanti sono:
Sezione 1: Dimensione economica e sociale: Combattere le povertà, Cambiamento del sistema di consumi, Protezione e promozione della salute, Promuovere insediamenti sostenibili.
Sezione 2: Conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo: Protezione dell’atmosfera, Combattere la deforestazione, Promuovere un’agricoltura sostenibile, Conservazione della diversità biologica, Protezione della qualità dell’acqua, Eliminazione dei rifiuti.
Sezione 3: Rafforzare il ruolo dei principali gruppi sociali: Parità di genere e azioni a favore dei bambini, Rafforzare il ruolo delle comunità locali, delle organizzazioni non governative, dei lavoratori e delle loro rappresentanze e delle imprese.
Sezione 4: Strategie di implementazione: Rafforzare il ruolo degli agricoltori, Sperimentare modelli finanziari sostenibili, Sostenere la ricerca per lo sviluppo sostenibile ed il transfer di tecnologia ambientale, Promuovere attività educative, Sperimentare meccanismi di cooperazione a favore di paesi in via di sviluppo.
Il processo avviato dall’Agenda 21 ha dato il via a una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire i rapporti sociali, nel modo di operare delle pubbliche amministrazioni, che supereranno il loro approccio monosettoriale a favore di approcci integrati, nel modo di ideare progetti e realizzare infrastrutture ed edifici biocompatibili, ad alta connettività, a basso costo energetico ed accessibili a condizioni più eque.
Il limite di questa operazione è che essa ha coinvolto una èlite di operatori e pubbliche amministrazioni, a causa dell’onerosità degli investimenti e delle stagnante situazione economica.
Il risultato è che la capacità di carico della terra continua ad essere sotto pressione, con forte compromissione della biodiversità. Il problema diventa di conseguenza l’estinzione delle specie con conseguente alta probabilità di crisi alimentari e sanitarie.

L’Agenda Millennium (2000) rifocalizza gli obiettivi dell’Agenda 21 nel tentativo di frenare la perdita di biodiversità. Essa infatti punta alla rivalutazione del capitale naturale quale materia prima per un modello di sviluppo biologico. Questo obiettivo è integrato con quelli della riduzione della povertà e dello sviluppo dell’educazione. Complessivamente gli obiettivi sono articolati in 8 azioni, da completarsi entro il 2015.
Le azioni sono:
- Sradicare l’estrema povertà,
- Educazione primaria generalizzata,
- Uguaglianza di genere,
- Ridurre la mortalità infantile,
- Ridurre la mortalità materna,
- Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie
- Assicurare la sostenibilità ambientale,
- Promuovere partnership per lo sviluppo.
Una delle più importanti azioni dell’Agenda Millennium è stata la Millennium Ecosystem Assessment (MCA), il cui scopo era aumentare la conoscenza della consistenza e del valore del capitale naturale, grazie al monitoraggio della consistenza degli ecosistemi e la valutarne del loro contributo al fine della produzione di reddito (e vice-versa valutare la perdita di ricchezza che si realizza con la compromissione della biodiversità). In tal modo il valore della biodiversità diventa un componente importante della valutazione del PIL, rendendo così operativo il concetto di PIL verde. L’Assessement si è sviluppata attraverso un coordinamento internazionale che copre la gamma completa dei livelli territoriali (dall’internazionale all’urbano), il cui slogan è “making nature’s values visible”. Non è secondario ricordare che pur essendo l’Italia il paese con più alto tasso di biodiversità al mondo i suoi sistemi di ricerca ed amministrativi devono ancora adottare le procedure del Millennium Ecosystem Assessment.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (2015) ricalibra gli obiettivi delle due precedenti agende concentrandosi sui 17 obiettivi evidenziati nell’immagine e anticipando al 2030 il loro raggiungimento

Bisogna prendere atto che, malgrado l’impegno delle Nazioni Unite, nei trent’anni di vita delle Agende solo il 10% degli obiettivi è stato raggiunto, ma siamo ben lontani dallo sradicare la povertà e dal contenere il depauperamento del capitale naturale. Infatti, in questo momento i livelli globali di produzione e consumo superano la capacità del pianeta di circa il 50% ogni anno.
Le azioni dell’uomo minacciano di estinzione un numero crescente di specie: entro un decennio si prevede l’estinzione di un milione di specie pari al 25% delle specie esistenti, con un’accelerazione la cui intensità è diecimila volte più alta di quella che si è realizzata nei passati 10 milioni di anni. I cambiamenti indotti dall’uomo stanno creando le condizioni per una rapida evoluzione biologica, così rapida che i suoi effetti possono essere visti solo entro pochi anni o anche più rapidamente. Le conseguenze possono essere positive o negative per la biodiversità e gli ecosistemi, ma possono creare incertezza sulla sostenibilità delle specie, sulle funzioni degli ecosistemi e sulla fornitura dei contributi della natura alle persone.
Per affrontare questa situazione l’Agenda 2030 propone un recupero dell’armonia fra uomo e natura, segnato dal tentativo di accelerare il raggiungimento dei risultati (anticipando al 2030 il raggiungimento degli obiettivi previsto per il 2050) e prendendo atto dei notevoli margini di incertezza che stanno segnando il percorso verso la sostenibilità.
Per far fronte all’incertezza l’Agenda propone di esaltare le interazioni fra i vari soggetti che partecipano al processo decisionale, al fine di esaltarne la creatività e le sinergie; le interazioni diventano così il collante capace di innescare nuove forme di apprendimento sociale, cui l’iniziativa del Rotary Club Milano intende contribuire con la sua iniziativa.