Secondo le linee guida della sana alimentazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, la dieta mediterranea è un esempio di dieta sostenibile.
Infatti riflette uno stile di vita sano, proponendo di consumare principalmente prodotti vegetali, di scegliere cereali interi non raffinati e di introdurre le quote di prodotti animali necessarie per donare il giusto apporto energetico, che deve essere equilibrato rispetto al fabbisogno, all’attività fisica svolta e allo stile di vita dell’individuo.
Che cosa si intende per dieta sostenibile? Le indicazioni per tenere un comportamento sostenibile a livello ambientale sono indicazioni, a mio parere, di buon senso che ci portano a riflettere sul ritorno a uno stile di vita più semplice nel rispetto dell’ambiente in cui viviamo. Sostenibilità, per me, vuol dire principalmente non sprecare, saper gestire i rifiuti (attraverso la corretta raccolta differenziata), ridurre i costi a livello socio-economico, preferire gli imballaggi biodegradabili, scegliere prodotti a chilometro zero, prodotti biologici da coltivazioni e allevamenti che rispettano l’ecosistema, sia in termini di emissioni di anidride carbonica che di consumi di risorse idriche e di sfruttamento del suolo. Parlando di sostenibilità a tavola è utile considerare l’aspetto socio-economico: una dieta sana e sostenibile è importante per la prevenzione delle malattie e per mantenere l’individuo in un buon stato di salute. Un individuo che sceglie di nutrirsi in maniera sana è consapevole che rispettare le indicazioni alla base della piramide alimentare, tra cui sonno e movimento, non ha alcun costo, che diminuisce il rischio di ammalarsi e che concorrerà a ridurre i costi per la società e per il sistema sanitario.
La dieta mediterranea è più sostenibile di quanto si possa pensare, non è affatto costosa, se si rispettano la stagionalità dei cibi e le giuste porzioni con il corretto bilanciamento tra quantità e qualità. In passato l’alimentazione mediterranea era tipica delle fasce meno abbienti della popolazione, si pensi ai racconti dei nonni per cui la carne si consumava una volta alla settimana, tipicamente la domenica o in un giorno di festa. La dieta mediterranea comprende le proteine vegetali e animali (pesce e carne), non ne circoscrive l’utilizzo della carne proprio come facevano i nostri nonni, ma ci consiglia di mangiarne meno e di scegliere la qualità. Vale il detto “poco ma buono”. Sia per il pesce che per la carne è utile ricordare che la qualità ha un costo e che un prodotto troppo economico spesso non è strettamente associato a parametri di sostenibilità, ma inevitabilmente a contesti di produzione intensiva con tutte le conseguenze del caso.
Un buon consiglio è certamente quello di preferire le proteine vegetali e di introdurre le proteine animali con meno frequenza scegliendo la qualità. Come saper scegliere la qualità? In base a quali parametri orientarsi?
In questo momento, c’è tanta confusione riguardo all’introduzione delle proteine animali nell’alimentazione e le ragioni sono molteplici (etica, gusto, lobby e altro ancora) ma nel mio ruolo di consulente nutrizionale mi trovo spesso a dover rispondere a domande chiare e dirette: “mangiare carne o pesce fa bene o no? Se sì, in quali quantità e modalità?” E di qui, proprio in concomitanza con la giornata mondiale della terra ho scelto di confrontarmi con un esperto selezionatore del settore carni, Gianluca Di Vona.
Se è vero che le proteine vegetali e i legumi apportano anche carboidrati e fibre, le proteine animali, che hanno contribuito al nostro processo evolutivo e sono state fondamentali per l’uomo, hanno un alto valore biologico e un profilo aminoacidico completo: nelle proteine animali si trovano anche grassi e acqua. Di qui la parola all’esperto.
“La qualità delle carni che serviamo e consumiamo a tavola – spiega Di Vona – dipende da come è stato allevato e da come è stato trattato e nutrito l’animale durante il suo ciclo di vita.” Io come consumatrice sono curiosa e, quando sono dal macellaio per gli acquisti, faccio molte domande riguardo alla provenienza della carne e alla tipologia dell’allevamento. Per fare una scelta consapevole suggerisco di leggere sempre l’etichetta, preferire un prodotto di provenienza nazionale a filiera corta, perché anche il trasporto ha un impatto sulla sostenibilità, assicurarsi che l’allevamento sia biologico e rispetti i cicli delle stagioni e gli spazi vitali.

“In Italia solo l’1% della produzione di carne è sostenibile. Ai consumatori più esigenti – spiega Di Vona – suggerisco di verificare che la carne sia di provenienza italiana da allevamento biologico e di tipologia Grass Fed, solo allora potrebbero aver individuato un prodotto di altissima qualità”.
Facciamo chiarezza su alcuni aspetti tecnici: cosa si intende per Grass Fed? Il termine significa nutrito a erba e si fa riferimento a un allevamento al pascolo per l’intero ciclo di vita dell’animale.
Qual è il consumo ideale di carne? Il fabbisogno proteico di un adulto medio secondo l’OMS è di 0,66g/kg e secondo i LARN varia da 0’7 a 1,11g/kg peso corporeo. Il quantitativo di carne medio consigliato per un individuo adulto sano è di circa 300 gr la settimana che corrisponde a circa and 1kg e 200gr mensili e a 14,4 kg annui. Secondo le statistiche, l’Italia è uno dei paesi europei che registra il più basso dato di consumo apparente* con circa 76 kg annui pro capite, mentre in Europa si consumano circa 84,7 kg pro capite annui e in America 125,9 kg pro capite annui. [Fonte www.carnisostenibili.it dati GIRA 2020 su consumi 2019].
In altre parole, basterebbe ridurre i consumi seguendo le indicazioni della dieta mediterranea e di conseguenza abbattere immediatamente l’impatto ambientale. “Negli ultimi anni – conclude Di Vona – per riuscire a soddisfare la maggior richiesta di prodotto in tempi sempre più brevi e a costi sempre più bassi si è ricorsi ad allevamenti intensivi, badando più alla quantità che alla qualità. Il concetto di sostenibilità riguarda il sistema di produzione della carne partendo dagli allevamenti. La SAI – piattaforma internazionale di sostenibilità agricola – ci fornisce delle indicazioni in merito.”
Esistono diversi tipi di allevamenti: intensivo/estensivo, semibrado e biologico. L’allevamento migliore è quello biologico e semibrado, dove gli animali alternano il pascolo alla stalla rispettando gli spazi vitali e il benessere dell’animale. Un allevamento sostenibile rispetta l’economia circolare anche attraverso il riutilizzo del concime naturale.
Approfondire questa tematica con il giusto senso critico ci aiuta a salvaguardare la nostra tradizione gastronomica, a comprendere il fabbisogno individuale a livello nutrizionale e a sostenere la produttività in termini economici e ambientali. Nuove consapevolezze e l’esercizio della libertà di scelta a partire dal carrello della spesa sono la chiave di volta per una cultura sostenibile, anche a tavola!
*Il consumo apparente è un indice molto distante dal consumo reale perché è espresso per la carne in termini di peso carcassa, che comprende parti non edibili, quali ossa, cartilagini, grasso in eccesso- V. Russo, A. De Angelis, P. Danieli. Consumo reale di carne e di pesce in Italia.Dal consumo apparente al consumo reale con il metodo della Detrazione Preventiva delle Perdite. Franco Angeli, 2017